Roberto Rizzo, 2006

Credo che l’arte sia sempre stata intelligente anche prima dell’avvento dell’arte “concettuale”.
Considerare la pittura un’espressione più sensibile che intelligente (se non quando rappresenta aneddoti colti, impegnati o ironici) mi sembra un’opinione piuttosto “stupida”. L’intelligenza della pittura si manifesta prima di tutto attraverso il confronto con il proprio linguaggio ed è un’intelligenza oltre che mentale, anche corporea. Bella o sgradevole, figurativa o non figurativa che sia, per essere grande pittura essa deve rivelare la propria intelligenza e lo può fare solo attraverso i propri elementi linguistici.
Non credo che esistano linguaggi artistici più attuali e altri meno, ma penso che ogni medium possa essere in grado di interpretare il presente attraverso la propria capacità di reinventarsi¹. Questo significa che il rischio di sfociare nell’accademismo può essere corso non solo dai linguaggi artistici tradizionali, come la pittura, ma anche da quelli più tecnologici, come il video.
Se il problema dell’attualità della pittura quindi non si pone, questo non vuole dire che tutta la pittura sia attuale. Infatti, oggi ancora più che nel passato, dobbiamo distinguere tra una pittura che si interroga sulla propria identità – elaborando e contenendo in sé le lacerazioni aperte nel novecento da Duchamp in poi (anche se sgradevoli e distruttive) – e una pittura che non si interroga, dando importanza solo all’espressione o alla forma fine a se stessa. Questa pittura che non si interroga più trascura soprattutto di analizzare il senso del suo spazio convenzionale di azione e di riflessione: il quadro. Per essa il quadro è: o un totem da non mettere mai in discussione, facendo finta che negli ultimi cento anni non sia successo niente, oppure solo un oggetto da utilizzare in un’installazione come elemento strumentale e decorativo, pensando così di inserirlo in un contesto più accettabile.

L’artista del novecento ha dovuto fare i conti con la crisi della rappresentazione e con quella delle certezze assolute. Ha raggiunto una visione della vita e dell’arte più relativa, maggiormente disposta a considerare l’esistenza di un “altro da sé” sempre più immanente che trascendente. La giusta critica nei confronti di una visione dogmatica dell’idea di eterno e di infinito non giustifica però l’abbandono della ricerca di quella stessa idea. Una ricerca possibile attraverso gli strumenti relativi dell’essere umano. Così il quadro può affermare ancora oggi il valore assoluto del proprio spazio interno, ma solo accettando la propria condizione relativa rispetto allo spazio che lo contiene. Come se relativo e assoluto, proprio perché opposti, non potessero fare a meno l’uno dell’altro².

 

1. A questo proposito mi sembrano interessanti le tesi espresse da Rosalind Krauss nella raccolta di scritti: Reinventare il medium, Bruno Mondadori, 2005.
2. Per queste mie considerazioni sono fondamentali le riflessioni di Lucio Fontana sui suoi “buchi” e “tagli” e quelle di Carmengloria Morales sui suoi “dittici”.