Elisabetta Longari, “Note sparse sulla situazione della giovane arte lombarda agli albori degli anni ’90”

“Terzoocchio”, Marzo 1990, pp. 21-26

Questo testo si configura come un insieme di sintetici e frammentari accenni di discorsi possibili riguardo ad alcune esperienze della giovane arte lombarda sul principio del nuovo decennio, puntando soprattutto l’attenzione su artisti pressoché esordienti e tentando di rispettare una situazione variegata e complessa, costellata di episodi non certo tutti riconducibili ad una determinata tendenza.

Milano, capitale della moda, si propone ufficialmente come l’attuale fucina di esperienze neoconcettuali fredde che hanno poco a che fare con il movimento di pensiero a cui nominalmente si riallacciano, dando luogo ad opere dall’inconsistente leggerezza di un divertissement o di una boutade. È il caso della maggioranza dei lavori dei giovani artisti selezionati per la mostra del Premio Saatchi & Saatchi e proposti dalle giovani gallerie milanesi – Studio Guenzani, Marconi 17 e Massimo De Carlo. La tendenza è appunto orientata perlopiù verso una linea oggettuale ed inespressiva certamente specchio dell’Insostenibile leggerezza dell’essere contemporaneo. Le opere si riducono ad esercizi di eccessivo formalismo assimilabili ai prodotti del design postmoderno, accogliendone pienamente la componente di divertito eclettismo che assolutizza il criterio di omologazione. Questa situazione vede protagonisti Arcangeli, Arienti, Cavenago, Dellavedova, Kaufmann, Martegani e Mazzucconi, che hanno inaugurato la stagione espositiva milanese dello Studio Marconi con la mostra Punti di vista a cura di Angela Vettese.

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Un episodio che ha suscitato interesse è il «lancio» del manifesto redatto da Maria Morganti (1965), Roberto Rizzo (1967) ed Aurelio Sartorio (1964). I tre giovani artisti, recuperando una forma, ormai in disuso, di responsabilità nei confronti della comunicazione, esprimono il comune disappunto nei confronti del clima artistico attuale e puntualizzano il territorio in cui essi hanno scelto di operare. Il lavoro di ciascuno di loro svolge una ricerca autonoma dal punto di vista della morfologia dell’immagine, ma alla base si rintraccia un comune atteggiamento nei confronti del fare artistico. Accettando di confrontarsi, come è naturale che sia, con la grande tradizione pittorica, ciascuno dei tre artisti vive la propria individuale avventura, lancia le proprie sfide e prova se stesso nello spazio convenzionale del quadro, superando quindi l’impasse che il pensiero postmoderno subisce nei confronti del patrimonio storico.

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